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gen 31

Giovannino Guareschi Esprit libre

C’è qualcosa che accomuna tutti gli spiriti liberi della storia. Donne e uomini che non sono stati ma che tuttora sono, ci accompagnano, si fanno trovare e ritrovare, raccontano e insegnano.

E’ la loro forza, è l’energia che ancora sprigionano i loro libri, le loro idee, è la passione che li ha guidati , è l’onestà del disinteresse, è la coerenza con cui hanno vissuto la loro vita, è l’insegnamento morale dei loro principi, è  l’ essere dentro il proprio tempo e insieme esserne fuori, valicarlo. E’ l’essere attori, spettatori e precursori spesso ingombranti perché non etichettabili , scomodi perché non alla moda, fastidiosi perché non in linea con certa political correctly.

Giovannino Guareschi nato nelle case rosse delle cooperative socialiste parmensi era un monarchico, al suo funerale cui nessun rappresentante delle istituzioni partecipò, volle la bandiera sabauda. Tuttavia nei suoi numerosi libri tradotti in centinaia di lingue, non si parla di uomini sudditi ma di uomini liberi, di uomini uguali, di doveri e di diritti, di giustizia sociale; si parla della bellezza della natura, della semplicità del bene, delle ingiustizie provocate dal male. La storia stessa della sua vita è la storia della sua integrità di uomo e di scrittore se mai si possa dire che le due cose siano distinte.

Dopo l’armistizio del 1943 rifiutò di obbedire ai diktat tedeschi e per questo fu internato per più di un anno in un campo di lavoro dove patì le sofferenze della fame, del freddo, della lontananza dagli affetti. Ma seppe rinunciare e seppe aspettare e fu ricompensato – uno fra pochi – col ritorno a casa. Poco più di trenta chili e un cuore malato.

Pronto a combattere con la sua satira il pericolo comunista – la guerra fredda era appena cominciata ma dei gulag si conosceva già l’esistenza- a fianco della DC di De Gasperi, non esitò ad andare in galera – quelle di un tempo erano bugigattoli bui e freddi- pur di difendere la verità dopo avere appreso il coinvolgimento del Presidente in una delle pagine top secret della storia italiana.

Non si vendette a facili compromessi ma fino in fondo, pagando a danno della propria salute, mantenne fede alle proprie idee, dignitosamente, come si suol dire a testa alta. La famiglia, la campagna parmense, la costruzione della casa per il propri cari – senza termosifoni- sono i simboli di una vita alquanto spartana. L’automobile, l’unico vezzo, l’inseparabile Olivetti compagna di battaglia che gli fu rubata in una delle non poche incursioni di ladri – probabilmente pilotati- e da cui difficilmente si separava.

Leggere i suoi libri è stato per me, repubblicana convinta, uno squarcio nel tempo. Ho riscoperto uno scrittore che la critica aveva relegato e omologato a suo piacimento, ho apprezzato lo stile sobrio e combattivo, a volte arrendevole altre determinato, le descrizioni minuziose, particolareggiate, pittoresche, il raccontare con toni naif, il fanciullino che era in lui, la poesia delle sue favole come la Favola di Natale scritta durante la prigionia del lager , di una struggente malinconia e di una tenera ma tenace speranza, speranza nella vita e nell’umanità.

Tutti noi dobbiamo qualcosa a scrittori come Guareschi perché in loro riconosciamo i tanti pregi dell’animo umano e al tempo stesso potremmo prendere la forza per superarne i limiti.

Claudia