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Giochi e giocattoli di altri tempi

cavallo_dondoloiI giochi e il tempo libero distinguevano gli abitanti del centro del paese da quelli della zona rurale. Erano divisi in femminili e maschili pur non mancando giochi trasversali che accumunavano bambini ed adolescenti indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza.

I giocattoli più belli, ben costruiti artigianalmente,  erano privilegio delle famiglie più abbienti: bambole con viso, piedi e mani di porcellana, corpo riempito di paglia sottile, abiti sontuosi di raso, seta e pizzi, cuffiette ricamate; bambole lenci che si riuscivano a comprare solo durante la Fiera di San Martino , in novembre. Il viso era di cartapesta ricoperto di stoffa, gli abiti di pannolenci colorato, sulla testa parrucche setose con morbidi riccioloni. Una bambola particolare era “la pulonia”. Fatta di legno, tutta snodabile come i vecchi Pinocchietti, gli arti grassottelli, le guance paffute, leziosa. Con l’avvento del Boom economico, svuotate le soffitte, sono sparite, le sopravvissute sono finite nei mercatini dell’antiquariato. E’ rimasto il loro soprannome: è una “pulonia” si suol dire di donna “bamboleggiante” “una pupona” eccessiva nel vestire e nel trucco un po’ antiquato.  “Polonia”, però era anche la moglie assai pettegola del famoso burattino Sandrone o Lisander: una coppia che assieme a Fagiolino ha fatto ridere generazioni di bambini che si facevano regalare  le marionette immedesimandosi nei simpatici  personaggi, inventando sempre nuove   storie facendoli muovere velocemente con le dita delle mani. Un gioco apparentemente semplice dove la fantasia infantile galoppava e si espandeva in tutte le sue potenzialità.   Una creatività antica che non aveva bisogno di specifiche strategie didattiche.      Il cavallino a dondolo di legno era il sogno di piccoli e grandi, ma lo si trovava solo in pochissime case. Esisteva una versione più economica: il cavallino di cartapesta che, per il materiale, aveva vita breve, si sfasciava facilmente.

Giochi creativi – esclusivi della campagna.
Si facevano utilizzando materiali poveri. L’abilità si tramandava di padre in figlio. Con “ i custon “ o tutoli delle pannocchie e ferri sottili, si costruivano animali, aratri, carri in miniatura. Un “Lego” privo di incastri preordinati in cui si manifestava la destrezza nel dare forma agli oggetti.

Cavallini di terra creta.
Si poneva attenzione a non far indurire il tozzo di creta battendola parecchie volte su di un piano liscio, quindi si procedeva alla forma. Finita la scultura la si metteva al sole ad essiccare. Il presepe era irrinunciabile. In campagna si costruivano statuine di carta o terra creta. I modesti personaggi si vivacizzavano colorandoli o vestendoli con ritagli di stoffa. Gesù Bambino , però, si acquistava: doveva essere bello, di gesso o celluloide, perfetto anche se nudo, anche se senza culla. Il muschio si trovava facilmente lungo i fossi, nelle golene del Po, sulle cortecce degli alberi. Non mancavano rudimentali spade di legno, fischietti, fionde, “bicicletta di legno” e poi il  “gnegno”. Per quest’ultimo occorreva un pezzetto di legno (15 o 20 cm.) con le estremità appuntite. Un giocatore con un bastone esclamava: “Gnegno” colpendo una punta del legnetto cercando di fargli fare una lunga parabola. Era abile nel gioco chi sapeva colpire l’estremità in modo da lanciarlo come uno strale il più lontano possibile. Il secondo giocatore con un berretto correva cercando di raccoglierlo gridando:”Vegna”. Si giocava a calcio con palle di pezza o pochi palloni di gomma. Per la bicicletta bastava veramente poco: due bastoni, uno lungo e uno corto. A cavalcioni di quello lungo si teneva quello corto stretto tra le mani a mo’ di manubrio e con fantasia si facevano lunghe corse per le strade di campagna o giri nei cortili. Coca – versione rustica dei birilli con più giocatori. In uno spazio abbastanza ampio, si posavano tante cartucce vuote, senza un ordine preciso. Sopra ad ognuna si metteva una monetina o un sassolino. Ogni giocatore lanciava un sasso. Vinceva chi rovesciava più cartucce. Le bambine giocavano con bambole di pezza fatte con ritagli di stoffa che rispecchiavano la modestia della famiglia. Erano imbottite di paglia, lana e quant’altro potesse dar loro un corpo. Il viso veniva dipinto a mano o ricamato. Come capelli una manciata di canapa incollata sulla testa. Il girotondo non mancava mai con l’immancabile filastrocca di “Madama Dorè” e poi lo “scalon” o gioco del quadrato.Si disegnava per terra un grande riquadro, diviso in otto o dieci quadrati riportanti dei numeri in ordine crescente. Ogni partecipante era munito di una scaglia di pietra. Si saltava su una gamba sola sopra tutti i numeri, in ordine crescente, alternando il piede destro e il sinistro, senza perdere l’equilibrio e senza toccare le linee di demarcazione dei numeri o, addirittura, sconfinare. All’inizio del gioco la scaglia veniva collocata in corrispondenza della prima casella ; il partecipante, già su una sola gioco_scalonegamba, doveva raccogliere il sasso prima di potere iniziare il percorso. Se fosse riuscito a saltare sopra tutti i numeri avrebbe posizionato la scaglia nella seconda casella, e così via finché non avesse vinto o sbagliato. C’erano giochi comuni a tutti: far volare gli aquiloni, cerchielli, palla prigioniera o avvelenata, salti alla corda, il gioco dei bottoni o delle “burele” biglie di vetro colorate. Giochi e giocattoli nella loro modesta umiltà  rispecchiano  una civiltà contadina ormai scomparsa di cui non si  deve disperdere la memoria.