Fiera di San Martino anni 20 del’900: la strolica
“ La Strolica” ovvero la strega, si presentava, ogni anno, puntuale alla fiera di San Martino. Sembrava una zingara, una gitana uscita da un racconto: sottana lunga, fazzoletto annodato dietro la testa, lunghe collane luccicanti ciondolanti dal collo.
Sedeva su di un alto seggiolone, posto all’angolo dell’edificio comunale, di lato al Teatro Cotogni. Le labbra, sottili, si muovevano con un leggero tremolio che lasciava intravedere una bocca completamente priva di denti.
Un personaggio bizzarro.
“Leggeva la mano”. Vendeva presente, passato, futuro.
Affondata, tra le pieghe della sottana, teneva una piccola scodella di legno: lì raccoglieva il ricavato dalla vendita del suo astuto predire.
Intorno un affollarsi di gente.
I giovani erano i più attratti. Cercavano “un pgniatin”, un intruglio, una qualche magica formula amorosa o semplicemente, desideravano conferme dei loro segreti amori.
A quei tempi, in paese, avvicinare le ragazze, appartarsi, amoreggiare, non era per niente facile. Così, davanti alla “strolica “si radunava sempre un gruppo di ragazzotti: ridacchiavano dandosi di gomito. C’era sempre un primo, un curioso, più che un coraggioso, che si faceva avanti. Porgeva la mano, lasciando cadere nella scodella “un schei” o “ na palanca”.
“La strolica” lo fissava intensamente. Sussurrava svelta, come masticasse le parole, mentre le dita passavano or veloci or lente sul palmo della sua mano. Il giovane, senza abbassare lo sguardo, la ascoltava con timore.
La donna, biascicava e tastava, biascicava e tastava. Momenti interminabili per chi aspettava il suo turno.
Un rituale tanto furbesco da agitare gli altri che, impazienti, facevano la coda. Aumentava il brusio che, man, mano, si trasformava in una confusione chiassosa.
“La strolica” si fermava.
Uno sguardo duro sui presenti.
Immediato il silenzio.
La fila si ricomponeva: c’era di mezzo “ il destino” e “ la strolica” era a portata di mano e di tasca solo in quei tre giorni. Non si poteva rinunciare “ all’oroscopo ad San Martin”.
Finalmente, terminato il rito del massaggio o meglio della “lettura”, il giovane si scostava dalla vecchia, si girava verso gli smaniosi: sguardi inquieti … respiri trattenuti …
Immancabilmente, esclamava:
“La ga ciapà!”.
Disegno: acquerello, Carlo Bolognini